La rubrica #TeacherExperiences, ospita questa settimana la testimonianza della Prof.ssa Suor Daniela Pasini, insegnante dell’ISS Tassara-Ghislandi di Breno, in provincia di Brescia, zona particolarmente interessata dalla pandemia di COVID-19 nei mesi scorsi.
Mi chiamo Daniela Pasini, sono una religiosa della congregazione delle Suore di Santa Dorotea di Cemmo, vivo in provincia di Brescia, una delle zone più colpite dalla pandemia in Italia e da quasi vent’anni sono nel campo dell’educazione e della didattica insegnando una disciplina affascinante e piena di sfide allo stesso tempo nella secondaria di secondo grado: lingua inglese.
Mai come in questo tempo ho sperimentato le emozioni più disparate e diverse: paura, tensione, frustrazione, inadeguatezza, ma anche speranza, gioia per i piccoli successi e conquiste di un nuovo modo di porsi nei confronti della didattica. Un ricordo vivo che ho dopo le prime due settimane caotiche di interruzione delle lezioni in classe e del mio disperato tentativo di imparare ad usare piattaforme nuove, è stato quando per la prima volta, ho visto i volti dei miei alunni sullo schermo. La loro emozione di poter essersi ritrovati ancora tra loro e di poter dire che non li avevamo abbandonati è stata per me una gioia grande e un motivo di speranza nel poter fare qualcosa insieme. Ma subito anche le difficoltà che emergevano dalla poca disponibilità per molti alunni di una connessione adeguata, il diffondersi dei contagi che purtroppo ha toccato tanti nostri ragazzi e la mia impotenza di fronte a fatti tanto seri e tanto esigenti allo stesso tempo mi hanno talvolta tolto il fiato e lo sconforto ha fatto da padrone.
Tuttavia, come tutti, in questo tempo abbiamo dovuto imparare a reagire, a trovare strade, a metterci in rete con strumenti poco conosciuti e inesplorati. E di colpo ci siamo trovati ad affrontare una didattica che da sempre abbiamo forse sognato, ma mai davvero avuto il coraggio di tentare così radicalmente. Sento in modo profondo che la mia partita con la didattica a distanza è ancora un’osservazione dalla panchina, anche se in verità ho dovuto imparare ad utilizzare diverse piattaforme, da Zoom a Meet a Teams, e probabilmente non è ancora finita. Il mio istituto non ha adottato delle linee uniformi di azione, questo per permettere ad ogni insegnante di agire secondo le proprie competenze e scegliere le modalità migliori per raggiungere ed agganciare gli studenti. Io ho scelto da subito di utilizzare una didattica a distanza sincrona, cioè che mi desse la possibilità di vedere in faccia i miei alunni e che permettesse loro di sentirsi ancora una “classe”, che permettesse loro di vedermi in faccia e che potesse darmi nell’immediato la possibilità di coinvolgerli emotivamente utilizzando più canali percettivi possibili nella relazione didattica.
Dopo i primi giorni di entusisamo, sia da parte mia che degli studenti, è iniziata la sfida più grande da affrontare: tenere alta, in primo luogo, la motivazione (soprattutto mia) e, in secondo luogo, costruire un processo didattico diverso, che potesse essere da un lato interessante e accattivante, e, dall’altro, che riuscisse sortire quel magico meccanismo chiamato apprendimento. Il gioco ha iniziato a farsi davvero intenso, perché in verità il nemico numero uno da affrontare era, banalmente parlando, la “connettività” e la dotazione tecnologica degli alunni, non ultima la mia. Molti dei miei studenti purtroppo hanno seguito molte volte le lezioni dal solo cellulare o da tablet con connessioni hotspot, che possiamo ben immaginare, hanno un sapore di precarietà abbastanza spiccato. Purtroppo questo limite considerevole ha efficacemente influito sul mio approccio didattico che, a volte, era quasi esclusivamente riservato a cercar di tranquillizzare gli studenti che sistematicamente venivano buttati fuori dalle piattaforme, ascoltavano le lezioni a singhiozzo o semplicemente ai quali la barra dei comandi si impallava e non riuscivano a smutarsi. Senza parlare poi dei retroscena (si può proprio dire così) che si svolgevano durante le videolezioni dove i ragazzi sono tentati di non presentarsi stando tranquillamente a letto con la scusa che la telecamera non funziona, o che, se accendono si blocca tutto, o scuse di ogni genere e tipologia.
Tenere a bada questo tipo di frustrazione (sia mia che dei ragazzi) non è stato davvero facile, perché tutto questo mi ha profondamente messo in crisi anche su un’altra questione fondamentale nel processo della didattica: la verifica degli apprendimenti e la valutazione. Sappiamo quanto sia “spinosa” la questione della valutazione in DaD, dove, talvolta, i ragazzi chiaramente costruiscono scenografie degne di un set cinematografico per cercare di avere suggerimenti dalla parete o da parenti o amici durante un colloquio formativo, oppure, mentre si svolge un quiz su Socrative, i più fedeli compagni non possono rinunciare a rispondere amichevolmente insieme sentendosi al cellulare.
Sì, questo aspetto mi sta davvero mettendo in crisi come docente, nel contesto, direi, di un sistema che davvero, con la DaD, si sta rivelando fallace sotto più aspetti. Che forse questa sia davvero l’occasione per affrontare la scuola con un approccio che ci porti finalmente alla verifica delle competenze più che delle conoscenze? Che forse la sfida che si è aperta, e che credo sarà ancora un processo lungo, possa portarci a considerare la scuola come un vero e proprio laboratorio dove i ragazzi possano esprimere davvero se stessi con la flipped classroom, con ricerche più personali e quindi più rispondenti ai loro gusti e loro attitudini? Dove nella classe si potranno differenziare i percorsi perché gli alunni se li costruiranno da soli e noi insegnanti diventeremo semplici facilitatori?
Tutte queste domande sono ancora senza risposta ma le sento come la strada da percorrere, come un seme importante gettato in questo campo che il lockdown che ci ha regalato e ci sta costringendo ad una semina diversa. Quello che mi sento di dire è che forse questo tempo ci sta dando una reale opportunità. Io non vorrei farmela sfuggire. Abbiamo imparato ad essere resilienti, a non poterci permettere di scoraggiarci, ad andare avanti nonostante tutto, a cercare strade continuamente. Certamente tutto questo darà il suo frutto, e io ho speranza che sarà un frutto che porterà tanto bene alla didattica e ai nostri alunni talvolta stanchi della solita “scuola”.
Autore: Suor Daniela Pasini - Docente, Brescia
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