Com’è stato l’esame di terza media in tempi di Covid? L’abbiamo chiesto alla Prof.ssa Francesca Tamani, che ci ha riportato la sua esperienza, insieme ad alcune importanti riflessioni. Buona lettura!
Con buona pace dei detrattori (molti) e dei sostenitori (pochi) la didattica a distanza ha avuto il suo ultimo compimento con l’esame di terza media. Indicazioni nebulose e poco esaurienti si diffondevano tra docenti, studenti e famiglie già qualche mese prima creando ansie e preoccupazioni ed andando a rendere ancora più fragile e precario un equilibrio che si faticava a mantenere stabile giorno dopo giorno. Tesina sì, tesina no, colloquio orale a distanza, colloquio orale in presenza. Queste erano le ipotesi che tenevano svegli la notte dirigenti e un buon numero di docenti, già provati da una didattica a distanza che per la maggior parte di essi si è rivelata piuttosto faticosa e stressante.
Avvicinandosi a grandi passi il termine dell’anno scolastico, la nebbia all’orizzonte si è fatta meno fitta e le indicazioni ministeriali più chiare: tesina a distanza. Così si è passati con grande rapidità alla fase attuativa, anche qui con non poche criticità: capire cosa si intendesse per ‘tesina’, istruire i ragazzi su come operare, informare i genitori, decidere in che modo valutare il percorso scolastico e gli elaborati nel rispetto di un cammino triennale dello studente.
Potrei dilungarmi ancora sugli aspetti più o meno negativi di questa esperienza, elencando una serie di ostacoli, problematicità e ‘resistenze’ incontrate durante questa prova ma credo che porterebbe soltanto ad un noiosa lista di lamentele fini a se stesse. Siamo tutti d’accordo nel dire che questo meccanismo doveva essere ben oliato e che gli ingranaggi non sempre abbiano girato in modo corretto ma, come ho fatto nel mio precedente articolo, credo sia molto più costruttivo evidenziare quello che, invece, è emerso di positivo, in modo da traghettarlo nell’anno nuovo ed utilizzarlo per affinare una didattica sempre più efficace e innovativa.
Skills credo sia la parola chiave attorno la quale ruota il lavoro che è emerso da questa esperienza. Una parola che esemplifica questo inusuale esame di terza media e che, se sostituita o associata al termine vetusto di ‘tesina’ forse avrebbe suscitato maggiore entusiasmo nelle parti coinvolte e non l’avrebbe fatto percepire come un ripiego frettoloso e faticoso. Un termine che contiene in se stesso altri termini come: ‘opportunità’ o ancora ‘sfida’. Ed è proprio qui che torna la mia riflessione: sull’opportunità. Il coinvolgere gli utenti facendo loro percepire che si stia facendo un percorso nuovo ed interessante, un’opportunità di fare ricerca, un progetto attraverso il quale fare emergere i propri punti di forza e i propri interessi, e non una tegola che ti cade tra capo e collo e ti costringe a trovare un argomento in fretta e furia o a fartelo piovere addosso dall’alto dovendoti tu, studente, adeguare come quando ci si infila il vestito di qualcun altro.
Skills, appunto, è la parola che mi viene in mente quando penso a questo esame. Se proprio vogliamo declinarla in italiano diventa ‘competenze’. Così notiamo che la prova d’esame richiesta quest’anno ai nostri studenti non era altro che questo e mentre li osservavo dall’altra parte dello schermo durante la loro esposizione era facile snocciolarle una ad una.
La comunicazione nella madrelingua con Samuel che ha mostrato padronanza della lingua e registro linguistico appropriato formulando una precisa comparazione tra i tratti morfologici della lingua italiana e del suo dialetto d’origine, Oppure Irene, che in un inglese perfetto ci porta in un viaggio alla scoperta dei romanzi dell’800, non è questa forse ‘Comunicazione nelle lingue straniere’? La competenza matematica? Noah, che presenta una tesina su questa materia e affronta un perfetto CLIL svolgendo un’equazione in lingua inglese. Poi ancora Giuseppe, con la sua tesina sul cinema o Christian sui diritti civili, che hanno evidenziato notevoli competenze sociali e civiche e di consapevolezza ed espressione culturale.
Infine, tutti quanti si sono cimentati nell’applicazione delle competenze digitali, nello “imparare a imparare” e nello “spirito di iniziativa”.
Alcuni di essi hanno ammesso di aver appreso in questo modo un nuovo approccio allo studio, l’appassionarsi alla ricerca e al gusto di cogliere nessi interdisciplinari e scoprire che un argomento può essere trattato da più punti di vista. Accorgersi che i libri di testo e tutto il materiale studiato durante l’anno non era semplicemente un’accozzaglia di contenuti e nozioni separati per comparti stagni ma che poteva diventare un prodotto omogeneo ed armonico.
L’ultimo elemento che vale la pena evidenziare è la grande efficacia della metodologia CLIL che io affronto ormai da anni. Questo tipo di approccio ha permesso loro di poter cambiare registro linguistico ogni volta che fosse ritenuto necessario alla loro presentazione per ottenere un risultato più efficace. Ogni studente ha elaborato un percorso CLIL su varie discipline dimostrando di saper lavorare e comunicare in una lingua diversa dall’italiano su svariati argomenti.
Sostanzialmente, quindi, quello che noi tutti utenti della scuola abbiamo affrontato è stato un fantastico esempio di didattica innovativa: digitale, basata più sulle competenze che sui contenuti, incentrata in buona parte sulla metodologia CLIL, progettuale ed esperienziale. Forse però non ce ne siamo resi pienamente conto, o forse non è stato dato il nome giusto alle cose. Per questo motivo questa esperienza è stata vissuta dalle parti in causa più come un dovere che come un piacere, più come la sbrigativa chiusura di una pratica che come un progetto entusiasmante col quale misurarsi. Non ci siamo accorti che quello appena trascorso è stato un momento di sperimentazione che può rappresentare un punto di partenza per arrivare a nuovi strumenti metodologici e valutativi alla fine di un percorso intermedio o finale di un ciclo.
Così, ciò che mi auguro è che questo modo di procedere venga conservato e, magari, si elabori una diversa strategia valutativa. Mi piacerebbe vedere sempre più lo studente al centro del suo percorso formativo, rendendolo autonomo e consapevole dei propri apprendimenti e in grado di costruire percorsi finalizzati ai propri interessi e alle proprie inclinazioni. Che gli apprendimenti si sviluppino a partire da una ricerca e che l’insegnante diventi sempre più un tutor, un supporto, una presenza in grado di stimolare e fare crescere curiosità che poi starà allo studente approfondire.
In modo tale che così al termine ‘tesina’, che ci ricorda tanto una scuola ormai passata, si sostituisca la parola ‘progetto’ e che anche nella valutazione si possa passare dal ‘sistema a punti’ che si va ad incuneare in un vicolo cieco di improbabili calcoli matematici, all’elaborazione di un giudizio come questo:
“L’alunno possiede un patrimonio organico di conoscenze e nozioni di base ed è allo stesso tempo capace di ricercare e di organizzare nuove informazioni. Si impegna in nuovi apprendimenti in modo autonomo: è capace di produrre idee e progetti”.
Autore: Francesca Tamani - Docente, Parma
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